Riceviamo da Bruno Soro, professore di Economia politica e Politica economica al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova questo suo articolo, pubblicato sul sito Città Futura, che prende bonariamente in giro la teoria microeconomica dei giochi e la riproposizione da parte di alcuni “esimi economisti” del gioco del pollo, al fine di spiegare la trattativa portata avanti dall’ex ministro Varoufakis (specialista nella teoria dei giochi. Dal link sottostante si può accedere al testo.
L’egemonia nordeuropea e la deindustrializzazione dell’Italia. Commento di Guglielmo Saccardi, imprenditore
Per quello che ho capito, ciò che stiamo subendo è soltanto una egemonia nord europea. Si sono comprati fabbriche per poi smantellarle e produrre in Austria, Germania e altri Paesi. Oggi la Grecia ha sì esagerato – pensava di poter spendere e spandere, cosa che pure noi stiamo facendo, solo che produciamo di più. Mi domando perché noi avevamo ferriere e produzioni di acciai speciali, e oggi stop; avevamo cantieri navali e oggi li stanno smantellando in favore di Brema. Così si è “evoluta” la situazione.
I nostri politici ci hanno svenduto, vedi il caso di Italimpianti, che dava fastidio a molti per la professionalità e capacità operativa. Insomma, quando anteponiamo gli interessi personali a quelli nazionali, succede sempre così.
UN APPELLO PER L’EUROPA
Con questo testo di Roberto Speciale il Centro in Europa intende aprire una discussione sull’Unione europea, messa a dura prova dalla vicenda della Grecia. Secondo Speciale, in un’Europa a (inadeguata) guida tedesca, “Rimane la possibilità, non fortissima ma forse l’unica, che il Parlamento europeo e la Commissione prendano loro l’iniziativa politica (…) per far prevalere l’interesse generale contro i particolarismi, per ridare fiato ai cittadini che eleggono direttamente il Parlamento europeo, per coinvolgere anche i parlamenti nazionali“. Per questo rivolge un appello a “tutti i gruppi parlamentari e i partiti di sinistra disponibili a livello europeo per definire una piattaforma politica” e “innanzitutto a Jean-Claude Juncker, a Martin Schulz perché a settembre si discuta e al più presto si prenda un’iniziativa forte, clamorosa, che si proponga di costruire e completare l’Europa”.
Pubblicheremo nei prossimi giorni opinioni espresse da voi o presenti su strumenti di comunicazione “aperti”.
Carlotta Gualco
TESTO DI ROBERTO SPECIALE
Sul numero 1 della rivista in Europa di alcuni mesi fa[1], uscito a marzo, ho scritto un articolo intitolato “La Grecia e noi”, al quale rimando solo per dire che, alla luce di ciò che scrivevo, quanto è successo dopo non mi ha sorpreso. Purtroppo è chiaro che la Grecia era ed è in una situazione molto pesante che non si risolve immediatamente e tanto meno con gli espedienti e con le furbizie. E d’altra parte non ci voleva molto ad ipotizzare (già molti mesi fa) che c’è sempre una sinistra più a sinistra della sinistra che è contro ogni accordo ed è pronta a costituire nuovi partiti che ne gemmeranno altri. L’unico paragone possibile con l’Italia, perché per molti altri aspetti, per fortuna, non c’è somiglianza, è che anche da noi c’è sempre qualcuno che non vuole fare i conti con la crisi, che pensa che rompere il termometro sia il modo più sicuro per non avere più la febbre, e che è pronto a dar vita o più facilmente ad annunciare nuove formazioni politiche. Durante il referendum greco vi è stata, come è noto, una grande trasmigrazione italiana ad Atene, composita, formata da “grillini” e da spicchi di sinistra (ma da lontano hanno fatto il tifo anche la Lega e parte della destra) che pensavano che quella sarebbe stata l’alba di un nuovo mondo. Ora avrete notato che tutti quei partecipanti sembrano molto silenziosi o cercano di parlar d’altro.
Purtroppo il referendum greco è stata una scelta politica sbagliata ed anzi rovinosa. Non è lo strumento referendum che è in discussione ma il suo utilizzo e gli obiettivi che ci si propone. Di fronte ad una domanda un po’ contorta ma che chiedeva nella sostanza: “Volete fare più sacrifici o no?” era facile pensare che la maggioranza avrebbe risposto no e lo avrebbe fatto in ogni luogo del mondo, non solo in Grecia. Ciò che dovrebbe stupire è invece che il 40% abbia risposto si! In ogni caso quel referendum non ha rafforzato Tsipras e ha invece irritato i creditori, indurito le posizioni politiche di grandissima parte dei Paesi europei e reso quindi più difficile l’uscita dalla crisi e più pesanti le condizioni richieste al debitore.
Tsipras però, e questa è la prima novità da allora, nonostante questo e il pressing durissimo al quale è stato sottoposto in Europa e in patria, ha tenuto alla fine, sembrerebbe, la barra del timone dritta su ciò che si è impegnato a fare. Non so se quelle misure saranno risolutive (francamente non lo credo) e in quali tempi ma il vero problema era ed è restituire alla Grecia un’immagine di responsabilità e l’intenzione di fare i conti con la propria situazione interna che in grande parte è frutto di suoi errori ed omissioni. C’è però una seconda questione che emerge con nettezza da questa crisi e dalla sua gestione e che costituisce la vera novità con la quale fare i conti. C’è stato sicuramente un atteggiamento non solo eccessivamente duro nei confronti della Grecia ma forse vendicativo da parte della Germania e di alcuni suoi alleati, che non fa onore all’Unione europea, che è e deve essere un luogo di risoluzione di problemi, di mediazione dove il senso di giustizia e di equilibrio politico debbono essere centrali.
Il problema allora è posto: è difficile, veramente difficile se guardiamo agli ultimi anni fare un bilancio positivo del ruolo della Germania in Europa. Si può e si deve discutere se l’Unione europea possa essere guidata da un solo Paese. Tenderei a dire di no in linea di principio e non solo guardando ad un’Europa federale ma anche solo ad un’Europa intergovernativa. La questione però non è neppure questa. Il punto che è emerso è che la Germania non è capace di guidare l’Europa, non ne ha la cultura politica e manca della necessaria flessibilità e la sua vera o presunta primazia rischia di sbriciolare l’Unione europea. Verso il mondo ha un atteggiamento di indifferenza o di insufficiente sensibilità (leggi l’impegno contro il terrorismo islamico, la Libia, il Mediterraneo, i temi dell’immigrazione, ecc.) forse con l’unica eccezione, parziale, dell’Ucraina, solo perché è un vicino di casa. Ciò che risalta da un’Europa a guida di un solo Paese e nel caso concreto a guida tedesca è che privilegia i ristretti interessi nazionali e geopolitici e a sua volta sollecita altri nazionalismi a cominciare dai propri vicini di casa (Polonia, Ungheria, Paesi baltici, Olanda, ecc.). Ignora infine una questione di fondo come quella della minaccia del Regno Unito ad uscire dall’Unione europea.
Se guardiamo poi alle questioni interne all’Europa è sempre più evidente che la Germania (il suo Governo ma temo in generale le sue classi dirigenti) ha scarso interesse alla crescita e allo sviluppo (forse perché lei si sente appagata) ed un allarme eccessivo solo in parte giustificato per gli squilibri di bilancio degli altri Paesi e in particolare di quelli mediterranei. Ed è per questo che non è capace di aprire il proprio mercato interno, che soffre di uno squilibrio economico e commerciale molto grande e che è una delle ragioni dello squilibrio di altri Paesi europei e della loro mancata crescita (ma anche della sua crescita, della Germania). Sulla Grecia poi è stata la più rigida sbagliando a non prendere in considerazione la rimodulazione del debito greco per renderlo sostenibile come ormai apertamente sostengono il FMI e la BCE ed imponendo un Fondo nazionale di garanzia spropositato ed umiliante.
In questi anni di guida di un Paese sull’Europa non si sono fatti significativi progressi sull’unione economica e monetaria, senza la quale la moneta vacilla, e sull’unione politica, senza la quale la UE non può né decollare né stabilizzarsi. Bisogna quindi prendere atto e cambiare questa situazione, e rapidamente. Il problema del rifiuto a continuare a subire una guida tedesca sull’UE è posto in tutta la sua evidenza ma la soluzione è estremamente difficile. Non è realistico infatti pensare che la Germania si corregga da sola (non vuole e forse non può). Il riequilibrio con altri Paesi è molto debole (solo ultimamente qualche timido segnale è venuto da Francia e Italia), una conferenza intergovernativa per rivedere i trattati e procedere sulla via dell’unione federale è una strada non percorribile in una fase di allentamento della solidarietà, di accentuazione dei nazionalismi, di assenza di leader credibili.
Rimane la possibilità, non fortissima ma forse l’unica, che il Parlamento europeo e la Commissione prendano loro l’iniziativa politica come uniche istituzioni collegiali, sovranazionali e con una certa autonomia (insieme alla Banca Centrale europea) per far prevalere l’interesse generale contro i particolarismi, per ridare fiato ai cittadini che eleggono direttamente il Parlamento europeo, per coinvolgere anche i parlamenti nazionali. L’obiettivo deve essere quello di accelerare veramente la strada del completamento istituzionale per l’unione economica e monetaria (cioè anche fiscale, bancaria e di bilancio) e per l’unione politica, cioè l’egemonia delle istituzioni europee sull’Europa, la guida degli affari generali da parte dell’Unione europea.
È il momento credo per preparare un incontro di tutti i gruppi parlamentari e i partiti di sinistra disponibili a livello europeo per definire una piattaforma politica a cominciare dai temi dell’euro e dell’Unione europea, per tracciare delle convergenze o delle differenze, per provare ad essere un motore della costruzione europea pensando che questa è, da tempo, l’idea più di sinistra di questi ultimi decenni. Cosa ne pensa il gruppo dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo? Cosa ne pensa Gianni Pittella, che è il presidente di questo Gruppo? Cosa ne pensa il PD? Cosa ne pensano Renzi e Gozi? Cosa ne pensano altre formazioni politiche?
Non so se si vuole imboccare questa strada ma se per avventura lo si facesse bisognerebbe ignorare il “documento dei 5 Presidenti”, elaborato poco tempo fa, e che è largamente inadeguato, a mio parere. Si respira in quel documento purtroppo un’aria stantia di gradualismo esasperato, di impalcature istituzionali complicate, di procedure, documenti, comitati che si accavallano uno sull’altro e che non ci portano, credo, da nessuna parte. Si ipotizzano poi tempi biblici (il 2025!) dimostrando che non si coglie il fatto che è ora che si decide se l’Unione europea ci sarà ancora oppure no. Mi rendo conto delle difficoltà e soprattutto del compito arduo di convincere da parte del Parlamento europeo e della Commissione Stati riottosi, istituzioni arroccate, strutture demotivate, formazioni politiche nazionalistiche. Non sarà facile ma ricordiamo anche che molti Paesi dipendono dalle provvidenze e dalla legislazione europea e che tutti dovrebbero avere l’interesse a costituirsi in lega dei popoli per far fronte allo sviluppo e alla competizione mondiale e per tenere testa ai gravi pericoli che incombono nel mondo. L’alternativa è solo lo sfaldamento. Ci rimetteremmo tutti in questa prospettiva e sarebbe la fine dell’idea più innovativa e importante del Novecento ma ci rimetterebbero ancora di più i Paesi piccoli e di recente adesione, che non avrebbero nessuna prospettiva e che sarebbero attratti e subordinati da altri, di volta in volta dalla Russia, dagli Stati Uniti o dalla Germania. Nella migliore delle ipotesi si ricreerebbe la mappa medievale di tanti staterelli o di coalizione di staterelli in lotta tra di loro. Vorrei quindi fare un appello innanzitutto a Jean-Claude Juncker, a Martin Schulz perché a settembre si discuta e al più presto si prenda un’iniziativa forte, clamorosa, che si proponga di costruire e completare l’Europa, sia essa una conferenza pubblica da decidere in tempi molto rapidi, una sessione permanente delle istituzioni europee o una serie di incontri diffusi sul territorio europeo per sensibilizzare e superare questa situazione. Insomma un atto politico che decreti la fine della guida di un solo Paese sull’UE e ridia forza da protagonisti alle istituzioni europee sovranità e democratica legittimità.
Non so se questo possa apparire come l’ultima spiaggia, spero di no ma temo di sì. D’altra parte, se vi sono altre idee, migliori e più immediate, sarebbe il momento di esprimerle.
[1] Rivista in Europa, anno XXIV numero 1/2015 “Italia, Europa crescere insieme”.